GIAN PAOLO CHITI COMPOSER

     
AUTOANALISI MUSICALE
 
 

Pur avendo ricevuto una formazione musicale tradizionale in conservatorio, per quanto concerne la composizione, intesa come percorso creativo, mi sono sempre considerato un autodidatta. Non ho mai seguito alcuna particolare tendenza, influsso o indirizzo, preferendo scegliere volta per volta il linguaggio, la tecnica e prassi compositiva più confacenti ad uno specifico momento creativo.

Nel comporre sento molto l’esigenza di ripercorrere l’iter di esperienze musicali, dalla politonalità e da una ritrovata modalità dell’inizio del ‘900 fino alle ricerche timbriche e strutturali di linguaggio e di forma degli ultimi trent’anni. Tutte le esperienze e sperimentazioni dei primi decenni del XX° secolo appartengono già al passato, in un certo senso sono già tradizione consegnata alla storia e come tale suscettibile di ri-invenzione. A tal proposito ho sempre in mente le parole di Strawinsky: “la vera tradizione non muore mai ma informa di sé il presente.”

Quello che più mi stimola nel comporre è lavorare attorno ad un materiale musicale sia esso tema o agglomerato sonoro, scelta timbrica o cellula ritmica, modificandolo e variandolo in una sorta di ricercare continuo, senza uno schema prefissato, avendo come punto di riferimento e di fusione soltanto il materiale musicale prescelto. Spesso la scelta di un particolare ensemble strumentale, che può andare da una formazione classica come il quartetto d’archi ad una più differenziata, è per me sufficiente per realizzare un percorso compositivo. E’ quindi quasi una conseguenza che, normalmente, do il titolo ad un mio pezzo dopo averlo terminato, talvolta viene fuori, emerge man mano che il lavoro procede.

Pur avendo scritto diversa musica su testi o suscitata da immagini e sensazioni le mie preferenze vanno verso la composizione di “musica per musica” senza alcun tipo di riferimento.